Non è facile scrivere, mi sento molto stupida.
I bambini, così si chiamano, i piccoli umani, loro sono più bravi di me e mi prenderebbero in giro se vedessero come scrivo.
Lo detesto.
Ogni tanto qualcuno mi parla di cose che forse dovrei conoscere e io faccio finta di sapere e annuisco perché mi vergogno di ammettere che non ho idea di quello di cui parlano.
E poi scendo nell'hangar e la vedo e penso che non importa.
A che serve sapere, leggere, conoscere, scrivere, quando so che dentro di lei, con quella rabbia che mi scorre dentro come carburante, nulla avrà più importanza? A che serve sembrare uguale a loro, quando in fondo quel che conta è che io uccida, laceri, spari, graffi, distrugga, fulmini, tagli?
Mi importa davvero altro?
E' così bello lasciare che sia lei a dirmi che fare.
Loro non possono capire, nessuno di loro.
Quando sono Minerva, io sono alta venti metri, io ho artigli alle mani e ai piedi, io sono fatta del metallo più resistente, io volo tanto veloce da sentire il vento che mi ferisce la pelle.
Non piloto un robot. Io gli do vita. Lei mi dà vita.
Il fulmine mi attraversa come ha sempre fatto e questo ha finalmente un senso.
Un senso! E non lo capiscono!
Tutta la mia vita, per tutta la mia vita fino ad ora, sono stata attraversata dal fulmine, sempre di più, sempre più forte, sempre più spesso, aumentavano le cariche e non potevo fare altro che gridare e stringere i denti e non ero capace di mandare quell'energia da nessuna parte.
Ora lei mi permette di farlo.
Insieme raccogliamo la rabbia dal cielo e la dirigiamo, come morte fatta luce, verso il nostro nemico.
E il nemico si abbatte, muore, grida, come ho gridato io, come ho fatto io per anni, per sedici anni.
Poi, contenta, appagata, placa per un poco la sua insistenza, mi lascia essere come loro, alla guida di un robot, ma mai davvero come loro, mai.
I bambini, così si chiamano, i piccoli umani, loro sono più bravi di me e mi prenderebbero in giro se vedessero come scrivo.
Lo detesto.
Ogni tanto qualcuno mi parla di cose che forse dovrei conoscere e io faccio finta di sapere e annuisco perché mi vergogno di ammettere che non ho idea di quello di cui parlano.
E poi scendo nell'hangar e la vedo e penso che non importa.
A che serve sapere, leggere, conoscere, scrivere, quando so che dentro di lei, con quella rabbia che mi scorre dentro come carburante, nulla avrà più importanza? A che serve sembrare uguale a loro, quando in fondo quel che conta è che io uccida, laceri, spari, graffi, distrugga, fulmini, tagli?
Mi importa davvero altro?
E' così bello lasciare che sia lei a dirmi che fare.
Loro non possono capire, nessuno di loro.
Quando sono Minerva, io sono alta venti metri, io ho artigli alle mani e ai piedi, io sono fatta del metallo più resistente, io volo tanto veloce da sentire il vento che mi ferisce la pelle.
Non piloto un robot. Io gli do vita. Lei mi dà vita.
Il fulmine mi attraversa come ha sempre fatto e questo ha finalmente un senso.
Un senso! E non lo capiscono!
Tutta la mia vita, per tutta la mia vita fino ad ora, sono stata attraversata dal fulmine, sempre di più, sempre più forte, sempre più spesso, aumentavano le cariche e non potevo fare altro che gridare e stringere i denti e non ero capace di mandare quell'energia da nessuna parte.
Ora lei mi permette di farlo.
Insieme raccogliamo la rabbia dal cielo e la dirigiamo, come morte fatta luce, verso il nostro nemico.
E il nemico si abbatte, muore, grida, come ho gridato io, come ho fatto io per anni, per sedici anni.
Poi, contenta, appagata, placa per un poco la sua insistenza, mi lascia essere come loro, alla guida di un robot, ma mai davvero come loro, mai.
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